Il capo

Probabilmente i social non sono davvero il punto d’osservazione giusto per capire la realtà, ma forse lo sono per captare le ossessioni del nostro tempo. E giudicando da quanto è facile, facendosi un giretto su Instagram, imbattersi in post e reel che illustrano “i 5 segni per riconoscere un manipolatore” o spiegano “cos’è il gaslighting”, viene da pensare che tra le ossessioni più comuni ci sia quella per la manipolazione come pericolo che qualunque relazione umana può nascondere.

E allora la prima cosa che si può affermare su Il capo, il nuovo romanzo di Francesco Pacifico, edito da Mondadori, è che si tratta di un’opera che sa premere dove la contemporaneità si mostra sensibile. La maniera più facile per descrivere il libro è dire che si tratta, appunto, di un romanzo sul potere e sulla manipolazione. Un altro modo è riassumerlo come la storia di un abuso sul lavoro.

La protagonista è Gaia che nelle prime pagine romanzo raggiunge un resort sudtirolese per partecipare a quella che crede sarà una settimana di team building insieme ai colleghi della Fondazione, la kafkiana istituzione culturale romana per cui lavora. Ma ad attenderla non troverà nessun collega, neppure il capo che l’ha invitata e a cui Gaia sperava di strappare la lead di un importante progetto. Poco dopo scoprirà che lo chalet in cui dovrebbe soggiornare è già occupato da qualcuno: un uomo. È soltanto l’inizio di un misterioso gioco, orchestrato dietro le quinte dal capo, in cui Gaia si ritrova gettata senza spiegazioni, mentre tutto intorno a lei si carica di una sensazione di vaga minaccia.

Ne Il capo i rapporti di potere innervano ogni relazionarsi tra persone, come se muoversi nel consorzio umano significasse districarsi tra i campi di forza esercitati da innumerevoli centri di gravità. Nel corso del romanzo viene chiamata in causa un’ampia casistica di rapporti di potere: quello tra i sessi, ma anche quelli relativi alle gerarchie sul posto di lavoro (il libro si apre parlando della sadica voluttà dell’esercizio del dominio da parte dei capiufficio), quelli tra partner nelle relazioni sentimentali/sessuali, quelli tra classi sociali. Questi ultimi assumono una rilevanza particolare, cosa non nuova per Pacifico che è sempre stato romanziere dotato di una solidità ottocentesca quando si tratta di mostrare il legame intimo che lega i personaggi alle loro condizioni materiali, anche e soprattutto quando si parla di valori astratti («Per “libertà” qui intendiamo letteralmente proprietà immobiliare», si legge a un certo punto).

Se il potere è il sostrato dei rapporti umani, i tentativi di manipolazione sono la maniera in cui esso si esplicita. In questo caso la trama è quasi tutta assorbita dentro una «bolla di manipolazione» di cui non si distinguono i confini. È come se la protagonista Gaia si ritrovasse ad agire in un mondo fittizio, in uno spettacolo dove la sceneggiatura è scritta dal capo e lei non è mai in grado di sapere se sta seguendo il canovaccio che è stato preparato per lei o gli si sta opponendo. Dove ogni mossa va calcolata come in una partita a scacchi, ma senza avere una visione completa della scacchiera. Neppure alla fine del romanzo viene sciolta l’ambiguità che questa situazione genera (a poco più di una decina di pagine dalla fine del romanzo lo scrittore si pone una domanda – che non avrà mai risposta – sulla natura della storia appena raccontata): una volta avviata la macchina della manipolazione diventa impossibile separare ciò che è genuino da ciò che è artefatto.

Meno esplicitamente e su un piano diverso (quello metanarrativo) Il capo è anche la riflessione su un’altra forma di manipolazione: quella insita nell’atto del raccontare. Ce ne rendiamo conto quando scopriamo – intorno a un terzo del libro – di un inganno a proposito dell’identità del capo che l’autore mette in atto sfruttando una certa ambiguità della lingua italiana. Si tratta di un vero e proprio gioco di prestigio (il cui svelamento è anticipato giusto da qualche piccola dissonanza) che dovrebbe mettere in guardia il lettore su come chi narra ha la facoltà di distorcere la percezione dei fatti raccontati, senza peraltro dover dire nulla di falso. Dato non secondario in un romanzo in cui si alternano e si sovrappongono diversi livelli narrativi. C’è la storia di Gaia, ma c’è anche il livello del racconto in prima persona dello scrittore che, a mesi di distanza, incontra per caso Gaia e raccoglie la sua testimonianza. Ma all’interno della storia di Gaia c’è anche il racconto di Marco, detto il ragioniere, un ex-collega incontrato nel resort, che parla della sua vita e di quella del capo. Ad ogni livello si annidano possibilità di manipolazione, oltre a possibili intenzioni nascoste di chi racconta. Il ragioniere probabilmente racconta la sua vita anche per conquistare la fiducia di Gaia e portarsela a letto. E Gaia perché sta raccontando la sua storia a uno scrittore? E perché Francesco Pacifico la racconta a noi?

Sul piano stilistico un aspetto che va sottolineato è la grande attenzione al linguaggio dei personaggi, ciascuno caratterizzato innanzitutto da certe sfumature nell’esprimersi. Il che emerge non solo nei dialoghi, ma anche nei frequenti scambi tramite chat, dove vengono segnalati con rigore anche gli usi di emoji e gif. Una scelta un po’ «alienante», viene ammesso a un certo punto, ma inevitabile per inquadrare meglio certe personalità (il modo con cui ci comportiamo su WhatsApp dice certamente qualcosa di noi), tanto più in un romanzo dove tantissime interazioni tra i personaggi passano attraverso la mediazione della tecnologia. Addirittura la presenza di alcuni personaggi si manifesta esclusivamente dietro a chat e telefonate e pure le scelte di rispondere o meno alle chiamate diventano strategie di manipolazione. I device tanto radicati nella nostra quotidianità diventano gli ennesimi strumenti attraverso cui ciascuno può esercitare o subire il potere.

Narrativa | Il capo | Francesco Pacifico | Mondadori | 168 pagine

Marcello Conti è nato in Piemonte nel 1992. Si è laureato in Lettere moderne a Torino e ha studiato giornalismo a Bologna. È giornalista professionista e collabora come cronista con Repubblica. Cura il podcast indipendente Sottolineature, dedicato alla saggistica.

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