La tecnologia è religione

«In principio era il Verbo», c’è scritto nel Vecchio Testamento. Nel Nuovo Testamento invece si legge che «Il Verbo si fece carne». In un Nuovissimo Testamento dei nostri tempi si potrebbe dire che il Verbo si è fatto macchina. Le tecnologie digitali si possono infatti descrivere come macchine abitate (e animate) dal linguaggio. Macchine che conservano, trasmettono e producono linguaggio. Il soffio divino oggi spira tra i circuiti di silicio. 

È questa una delle possibili porte di ingresso per spiegare di cosa parla La tecnologia è religione, il breve ma densissimo saggio di Chiara Valerio pubblicato nella collana Vele di Einaudi. Dico che è soltanto una delle possibili porte perché si tratta di un libro labirintico, difficile da riassumere in un discorso lineare. È una riflessione intorno ad alcuni argomenti chiave (la religione e la tecnologia, come da titolo, ma anche il linguaggio e il corpo, la scienza e la magia) che, come ogni riflessione autentica, procede anche per salti, digressioni, ispirazioni improvvise, variazioni sui temi; mescolando materiali misti: speculazione teorica, citazioni colte o pop, aneddoti autobiografici.  Senza l’ansia di arrivare ad un punto definitivo o a dimostrare una qualche tesi. C’è invece una volontà di comprendere che non è mai «impazienza di definire il mondo» (tendenza denunciata come troppo comune oggi), ma piuttosto un «attendere che i significati si dispieghino, nella relazione, nella funzione, per analogia». Un atteggiamento, insieme filosofico e letterario, che è in fondo la quintessenza del genere saggistico. Squisitamente saggistica è anche la maniera con cui lo sguardo alto e teorizzante sulla società si sposa ad una dimensione privata, quasi diaristica: non solo per l’andamento rapsodico che si è detto, ma anche per la continua presenza di episodi di vita quotidiane e, soprattutto, di affetti famigliari. Il libro si apre con la domanda di un nipote e andando avanti si rivela pieno di nonne, zii e zie, genitori, sorelle. 

Un’altra porta di ingresso è Platone, lui che per primo ha posto quella separazione tra materia (umana e mortale) e spirito (divino ed eterno) poi ereditata e portata avanti da tutta la tradizione occidentale. Verrebbe da classificare la tecnologia sotto la categoria della materia, ma forse non è così. Per l’autrice, infatti, «la prima tecnologia che gli umani hanno sviluppato e messo a punto è il linguaggio». E il linguaggio pone le basi della spiritualità in quanto consente ciò che, con una metafora presa dalla fisica, si può chiamare «l’azione a distanza»: il rendere presente quello che non è materialmente presente (raccontandoti qualcosa ti metto in contatto con elementi che non sono qui e ora). Questa è la tendenza portata avanti anche dalle tecnologie digitali: sempre più smaterializzate, costantemente ci tengono in contatto con ciò che non è presente. E così se una volta chi parlava da solo e sentiva le voci era o un pazzo o un santo, oggi probabilmente è solo qualcuno che sta telefonando con degli auricolari wireless. I segni della santità o della follia diventano dunque normalissimi, perché ormai «siamo consustanziati nei dispositivi, dai dispositivi».

Si potrebbe obiettare che noi sappiamo bene che nel funzionamento delle moderne tecnologie c’è molto di materiale e nulla di spirituale. Sappiamo che ci sono degli oggetti materiali che mediano i nostri collegamenti con il mondo digitale e che tutte le informazioni che salviamo nei cloud non stanno veramente in cielo ma in materialissimi server. Però cosa sappiamo davvero di come funzionano queste tecnologie? Spesso non di più di quanto si sapesse delle vie misteriose attraverso cui Dio parlava a Giovanna d’Arco. A un certo punto Chiara Valerio si chiede: «Che differenza c’è tra danzare per far piovere e schiacciare un tasto per illuminare uno schermo?». La risposta ci sembra ovvia: la convinzione di far piovere danzando è frutto di credenze irrazionali, mentre il rapporto causa-effetto tra il nostro premere un pulsante e l’accensione dello schermo una spiegazione razionale ce l’ha, anche se magari non sappiamo quale. Ed è appunto quel “non sapere” il punto su cui batte l’autrice, perché è spia di uno scollamento tra scienza e tecnologia: «Le tecnologie si sono diffuse e le conoscenze scientifiche diradate», motivo per cui siamo sempre più dipendenti da dispositivi di cui capiamo sempre meno il funzionamento. La scuola (e qui si inseriscono le note più esplicitamente polemiche del libro) dovrebbe avere tra le sue priorità quella di ricucire questo strappo, ma così non è. Eccoci così a concepire la tecnologia come se fosse magia, ad affidarci agli algoritmi come se fossero la grazia divina («con l’algoritmo non devi essere né buono né cattivo, fa tutto per te»), a consultare le intelligenze artificiali come se fossero oracoli e, al netto di tutto, a non essere molto diversi, quando pigiamo un pulsante aspettandoci che accada qualcosa, dall’indigeno che danza aspettandosi la pioggia.

Saggistica | La tecnologia è religione | Chiara Valerio | Einaudi | 128 pagine

L’immagine è un particolare della copertina del libro.

Marcello Conti è nato in Piemonte nel 1992. Si è laureato in Lettere moderne a Torino e ha studiato giornalismo a Bologna. È giornalista professionista e collabora come cronista con Repubblica. Cura il podcast indipendente Sottolineature, dedicato alla saggistica.

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