Caccia allo Strega

Con un paragone neanche troppo dissacrante potremmo dire che il Premio Strega è il Festival di Sanremo della letteratura. Ormai più brand immediatamente riconoscibili che premi, eventi più mediatici che musicali o letterati, tendono a far baccano intorno a sé e quindi a calamitare l’attenzione (compresa quella di chi si dichiara non interessato). Offrono infiniti spunti per commenti, riflessioni e – soprattutto – polemiche. Sono, del resto, proprio le polemiche la più indubitabile dimostrazione della rilevanza che queste istituzioni hanno assunto. E se spesso si dice che Sanremo è occasione privilegiata per osservare uno spaccato esaustivo della cultura popolare italiana, lo stesso può valere per lo Strega per quel riguarda il mondo letterario-editoriale.

Non per nulla un critico e studioso acuto come Gianluigi Simonetti ha scelto il premio Strega come terreno su cui edificare un interessante saggio di sociologia della letteratura: Caccia allo Strega. Anatomia di un premio letterario, edito da Nottetempo. Simonetti non è nuovo a questo tipo di approccio allo studio letterario: nel 2018 aveva già pubblicato per Il Mulino La letteratura circostante, un libro che tracciava una mappa della letteratura italiana contemporanea, non con l’obiettivo di individuare le migliori opere degli ultimi anni, bensì con l’intento di analizzare la produzione media (e talvolta anche mediocre) ma di successo, individuarne le tendenze, per capire perché oggi si scrive quello che si scrive e si legge quello che si legge. Nella consapevolezza che per rispondere a queste domande non ci si può limitare alla ricerca e allo studio dei valori letterari (spesso e volentieri latitanti, del resto) delle opere prese in considerazione, ma bisogna anche guardare a quello che sta attorno ai testi.

In Caccia allo Strega, è il premio letterario più famoso del nostro Paese a essere preso come osservatorio privilegiato per portare avanti una riflessione su quelle che sono le maggiori linee di forza dell’attuale produzione letteraria. La scommessa di Simonetti è che, andando a rileggere i libri vincitori e finalisti delle più recenti edizioni del Premio, si possa individuare un ideale “romanzo da Strega”, un libro paradigmatico degli interessi di un lettore medio di oggi e dei desideri di un editore. Per farlo conduce, nella parte centrale del suo saggio, una serie di accurate analisi critiche di sei romanzi, vincitori negli ultimi due decenni, ciascuno a modo suo esemplare: sono Via Gemito di Domenico Starnone (2000), Non ti muovere di Margaret Mazzantini (2002), La solitudine dei numeri primi di Paolo Giordano (2008), Resistere non serve a niente di Walter Siti (2012), M. Il figlio del secolo di Antonio Scurati (2018) e Le assaggiatrici di Rossella Pastorino (2018. Quest’ultimo unica eccezione di libro vincitore non dello Strega ma del Campiello). L’ultima parte è invece focalizzata sulla ricerca di tendenze generali prendendo in considerazioni le cinquine finaliste delle ultime sei edizioni (dal 2017 al 2022).

Tra alti e bassi (ma i bassi non sono meno significativi degli alti) l’immagine che emerge dello Strega è quello di una sorta di laboratorio della letteratura mainstream italiana o, per dirla con le parole dell’autore, di «un acceleratore di particelle», o ancora di «un catalizzatore: un elemento che favorisce o accelera il formarsi di tendenze». Se infatti non tutti i vincitori del Premio hanno lasciato un segno duraturo, alcuni hanno avuto una effettiva risonanza nel campo letterario che è andato ben oltre il successo commerciale: hanno influenzato altri scrittori, altri romanzi, fondato o fatto emergere linee che continuano a definire l’attuale panorama editoriale. Insomma, lo Strega da semplice premio è divenuto «una categoria letteraria e più ancora un principio formale, una logica stilistica a cui oggi molti editori aspirano, e a cui oggi molti scrittori ubbidiscono quando si mettono a scrivere».

Ma dunque com’è fatto il “romanzo da Strega”? Qualunque risposta sarebbe una generalizzazione ovviamente, ma in linea di massima, secondo Simonetti, si tratta di «opere non troppo ardue e selettive: testi dalla solida piana tenuta narrativa – leggibili e amichevoli verso il lettore in cerca di un passatempo smart o di un bagno veloce nei valori culturali – ma eventualmente capaci di interessare anche il cosiddetto non-lettore, ossia il consumatore occasionale». Un romanzo realistico, non di genere, che nei contenuti abbia preferibilmente qualche richiamo a temi d’attualità e nella scrittura metta l’accessibilità davanti alla ricerca o all’originalità stilistica, «il cui scopo è quasi sempre più comunicativo che estetico, e rassicurante più che critico».

Ma il romanzo da Strega è soprattutto un romanzo ambivalente, frutto di compromessi, che cerca un equilibrio tra alto e medio, tra letterarietà e leggibilità, tra impegno e marketing. Da un lato, quindi, c’è quella tendenza alla «perdita della profondità sintattica», comune a tanta letteratura di consumo italiana di oggi, dall’altra una «mobilitazione stilistica» che possa garantire un’aura di artisticità e di “qualità percepita”, ma senza mai rinunciare alla dimensione dell’intrattenimento. Questa ricerca del compromesso si può manifestare in molte maniere diverse: Siti riesce a non rinunciare alla sua consueta complessità formale (fatta da stili, registri e livelli diversi che convivono) ma la coniuga con una trama molto più convenzionale rispetto alle sue prove precedenti e in cui sono presenti temi (la finanza internazionale, la criminalità organizzata) di sicura presa sul pubblico; Mazzantini nobilita la sua materia melodrammatica con scelte di innalzamento stilistico a livello lessicale, Giordano il suo romanzo di narrativa new adult con un intreccio che presenta simmetrie strutturali attentamente calibrate; Scurati unisce una espressività rozza e quasi pulp a temi forti e impegnati (il fascismo) con una decisa impostazione pedagogica.

Se dunque la regola generale pare essere il compromesso inteso come unione più o meno virtuosa di istanze diverse, non deve sorprendere un altro leitmotiv degli ultimi Strega: la presenza di generi ibridi, che sono per definizione forme di compromesso. Ed ecco dunque imbatterci in tanti esempi, tra i vincitori e finalisti, di non-fiction (forma di scrittura ibrida per eccellenza), ma anche di autofiction, memoir, saggi narrativi.

Gli esiti chiaramente possono essere diversi. I casi di autentica qualità letteraria non mancano. Altre volte più che di vera letteratura si ha a che fare con esempi di quello che l’autore chiama «nobile intrattenimento», cioè una produzione che risponde a «una domanda di arte o cultura ordinaria: contemporanea, certo, e di facile accesso, ma accuratamente e visibilmente distinta dal puro consumo». Nelle eventualità peggiori, invece, il romanzo del compromesso finisce per risolversi in un «romanzo via-di-mezzo: troppo preoccupato di tenersi in equilibrio per permettersi la libertà, il coraggio e la coerenza formale che servono a una riuscita autentica».

Saggistica | Caccia allo Strega | Gianluigi Simonetti | nottetempo | 184 pagine

L’immagine è un particolare della copertina del libro.

Marcello Conti è nato in Piemonte nel 1992. Si è laureato in Lettere moderne a Torino e ha studiato giornalismo a Bologna. È giornalista professionista e collabora come cronista con Repubblica. Cura il podcast indipendente Sottolineature, dedicato alla saggistica.

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