Il passeggero che siamo

Sono passati oltre quindici anni dall’ultimo romanzo di Cormac McCarthy, quel La strada che gli aveva valso il Pulitzer e di cui si vociferava che non ci sarebbe mai stato alcun discendente. Invece è finalmente uscito anche in Italia Il passeggero, romanzo che aveva fatto parlare di sé, come presumibile, sin dall’inizio, anche perché molti avevano sostenuto che lo scrittore di Providence non avrebbe più raggiunto certe vette stilistiche. Ma Il passeggero sa come destrutturare tutte le attese, spostando oltre i limiti i presupposti dei lettori facendo perno sui limiti dell’arco del potenziale narrativo del contemporaneo, già elasticizzato negli ultimi anni da autori capaci di realizzare opere d’arte fluide sotto forma di romanzi, fiumi di parole dalle correnti travolgenti e pluridirezionali. Penso a Cărtărescu, a Foster Wallace o ai più classici ma non meno verbosi Roth o Bellow.

Il logos mccarthyano afferisce però a una tradizione letteraria più spigolosa, americanissima senza dubbio (Hemingway, Faulkner), ma più universale, un corso metafisico sotterraneo che ricorda ieri Kafka e oggi Krasznahorkai, per citare due autori lontani fra loro soltanto nel tempo. McCarthy si fa insomma metafisico, costruisce domande da un’osservazione acuta del reale contemporaneo che è a sua volta fatto di domande. Ma non è tutto.

Il passeggero, nel tempo si impone come oggetto narrativo istantaneo e duraturo, unico e plurimo nei suoi contenuti, l’asse portante della scena principale che è di Bobby Western alle prese con una storia misteriosa di fuga da e verso tutto il resto della portentosa macchina narrativa messa su da McCarthy attraverso vari temi, la matematica, l’identità, la metafisica, il complottismo, la psicoanalisi e ancora la fisica, i disturbi di personalità, la memoria, la politica e l’ermeneutica, una simmetria precisa che non manca di riguardare Bobby Western e il suo alter ego, la sua probabile schizofrenia o quella di sua sorella Alicia, che nelle pagine corsive della sua memoria ci raccontano una storia che potrebbe stravolgere quella principale a ogni momento, il nostro punto di vista su Bobby Western, come se toccasse a noi credergli o consegnarlo alla giustizia, perché finalmente cessi la sospensione di senso che si presenta sin dalle prime pagine, davanti a quel relitto di velivolo sprofondato nel Mississippi alla cui ricerca Bobby Western partecipa scoprendo che fra le vittime manca un numero, una persona, un passeggero. Chi? E perché? Cosa nasconde questa storia e perché Bobby Western e l’amico Oiler verranno presto seguiti come dei criminali già colpevoli?

Un romanzo di tensione, Il passeggero, dove lo sforzo richiesto al lettore passa fra uno stile asciutto, tagliente, ancora più mccarthyano del solito, se possibile, in cui pagine e pagine di dialoghi senza virgolette si accompagnano ad altre più classiche, ora in prima ora in terza persona. La tipica sintassi dei suoi lavori precedenti, le frasi dichiarative e brevi, l’uso frequente della congiunzione “e” al posto delle virgole, un uso mediamente poco frequente di punteggiatura, non vengono certo meno, anzi, sembrano persino più numerose le strategie linguistiche per spingere la sua scrittura in quella direzione già nota che i suoi lettori ben conoscono.

Difficile non accorgersi della complessità e della novità che questo libro sta rappresentando, e quantomeno ugualmente difficile è collocare l’opera all’interno di un panorama letterario definito, considerando che il suo arrivo coincide senza dubbio con un momento di rottura, di spostamento in avanti, di interesse che creerà inevitabilmente epigoni o ispirazioni anche e soprattutto non volute.

Il passeggero della tensione sa farsi amare, la sua dolce assenza rassicura i non pochi grattacapi di Bobby Western. Il carico esistenziale, non solamente del personaggio ma dell’intera situazione, o meglio dell’intera struttura romanzesca, si fa ingombrante, spigolosa, la lettura si fa ardua, sfuggente e caotica, ma stranamente congruente alla frammentazione attuale, lasciando gli scarti temporali alle loro posizioni, pur centrali e quindi più pesanti, mostrando le vite dei personaggi come agite da un Fato imperscrutabile, come una costante rassegnazione che si fa carico di segnare le linee esistenziali e di interpretarle nel fallimento, nel movimento costante, nella volontà di comprendere sé stesso attraverso le proprie radici, decisamente scomode nel caso di Bobby Western: non solamente la sorella Alicia, ma il padre, uno scienziato che era stato fra i costruttori della bomba atomica (progetto Manhattan) e più oltre la nonna, da cui si recherà durante i suoi spostamenti, alla ricerca di importanti documenti familiari che si riveleranno oggetto di ricerca per i Federali.

Dove risiede il segreto? Dove la risposta? Bobby Western se lo chiede a voce alta mentre McCarthy spariglia, confonde, disorienta, mentre ci spinge in direzione centrifuga con la ricerca di quei documenti e la fuga dal suo stato di arresto e in direzione centripeta entrando nella psiche ambivalente di Alicia e delle sue visioni: in queste pagine lei parla con The Kid, una sua proiezione del fratello, probabilmente, uno sparring-partner dialogico che tanto più cerca di scoprire quanto più riesce a smarrire. Un costante stridio di linguaggi, un gioco di svelamenti, di luce e buio, di mostrare e nascondere: tutto, dai dialoghi con i bislacchi personaggi alle avventure, dalle pagine di memoria alle riflessioni di Bobby, ogni cosa cerca una propria realtà, un proprio ruolo, inseguendo fermamente luci che si riveleranno miraggi, che spariranno in modo inspiegabile.

Narrativa | Il passeggero | Cormac McCarthy | Einaudi | 392 pagine

Alessio Barettini nasce a Torino nel 1976, studia Lettere a Siena e poi torna a fare l'insegnante. Adesso lavora in un liceo artistico della città. Quando non è in classe, legge, fotografa, ascolta musica indie e suona la Fender Mustang. Ogni tanto scribacchia, più raramente scrive. Non ha mai suonato al Festival di Reading, ma c'è stato due volte.

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