L’anno del fuoco segreto

«Siamo tutti bambini nel bosco, perduti, abbandonati. Sussultiamo a ogni rametto spezzato, ogni fruscio degli alberi è una mano tesa a proteggerci o forse a ghermirci». Inizia così la prefazione (firmata dai due curatori, Edoardo Rialti e Dario Valentini) di L’anno del Fuoco Segreto. Ciascuno dei venti racconti che seguono trasportano il lettore sul confine di quel bosco e lo lasciano lì, a procedere dubbioso ed esitante, a maneggiare testi senza sapere bene che cosa siano. L’impressione che rimane più viva a fine lettura è probabilmente questa: il disorientamento – che si ripete all’inizio di ogni racconto – del trovarsi senza coordinate immediatamente riconoscibili a cui affidarsi.

L’anno del Fuoco Segreto è un’antologia che è difficile riassumere perché estremamente variegata per stili e contenuti, ma anche per il background e le inclinazioni degli autori coinvolti. Il libro è il frutto finale (per ora) di un fermento creativo che si era già espresso nelle pagine online di Nazione indiana, dove alcuni dei racconti erano apparsi precedentemente. Il titolo è una citazione tolkeniana (è lo stregone Gandalf a definirsi «servitore del Fuoco Segreto»), mentre il sottotitolo è Il novo sconcertante italico: una definizione non inedita (se ne discuteva già nel 2018 su L’indiscreto, in un dibattito in cui presero parte anche alcuni autori che ritroviamo in questa raccolta) per indicare la via nostrana a quel sottogenere della letteratura fantastica chiamato New weird. Ma parlando di generi ed etichette emerge la prima contraddizione con cui una operazione del genere deve confrontarsi: se il weird è un genere che si costituisce a partire dal superamento dei confini dei generi, tentare di definirlo o incanalarlo, anche soltanto per porre i paletti entro cui una antologia deve muoversi, significa rischiare di ucciderne la vitalità. «L’invito al fantastico è il richiamo d’una continua pulsante anomalia rispetto a se stesso, – si legge sempre nella prefazione – qualcosa che appena si crede di nominare, è già perduto, già altrove». Per preservare questa vocazione all’anomalia i curatori hanno affidato a indicazioni molto vaghe il compito di tracciare la strada: «ciò che abbiamo chiesto agli autori […] è stato semplicemente di scrivere un racconto che attingesse alle sorgenti dell’immaginario, qualunque fosse la prospettiva, senza compromessi o consolazioni, che premesse su un nodo o su un tabù che ritenessero importante».

Questa vaghezza si traduce in una scarsa organicità del libro, ma permette quel senso di genuino spaesamento di cui si diceva: difficilmente un singolo lettore apprezzerà tutti i racconti presenti, ma anche di fronte alle pagine non gradite resterà l’eccitazione data dal non sapere mai cosa aspettarsi dal racconto successivo. Questo senso di imprevedibilità che permea il libro vale a livello di contenuti quanto di stile. Anche la scrittura, infatti, è spesso e volentieri programmaticamente tesa all’anomalo, all’eludere gli appigli facili, alla ricerca del disorientante. Ovviamente pure questa tensione espressiva è interpretata in maniere diversissime, con esiti più o meno felici o più o meno apprezzabili dai gusti di ciascuno, ma soltanto il fatto che lo stile sia sempre e comunque concepito come ricerca dell’inatteso merita rispetto.

Se – dicevamo – il tipo di weird a cui questa raccolta si rifà è definito dallo scavallare i confini dei generi e dei linguaggi (ad esempio la prosa narrativa che sconfina nello sperimentalismo della poesia), anche a livello di contenuti molti racconti giocano intorno al concetto di confini che si fanno ambigui e permeabili. Ad esempio, il confine su cui si aprono spiragli per un’inattesa comunione è quello tra gli esseri umani e le piante in Il drago delle rose di Dario Valentini, che racconta dell’amore impossibile tra un musicista e una cangiante fanciulla vegetale. Il confine tra umano e natura pare invece essere totalmente svanito in Il ciclo della carne di Andrea Cassini, che presenta un mondo (forse futuro) in cui gli uomini sembrano fondersi con gli animali. La tensione liminale tra civiltà e natura (rapporto declinabile anche come individualità e pluralità, controllo e caos) domina Deserto verde di Laura Pugno, apparente racconto poliziesco ambientato in un immaginario paese del sud America e attraversato da suggestioni metafisiche. A questo ultimo racconto si può mettere idealmente vicino Gli impuri di Claudio Kulesco, racconto urban fantasy in cui ritroviamo una trama noir, la convivenza non pacifica tra razionalità moderna e irrazionalità primigenia, sottotesti politici e un notevole lavoro di world-building. In Verso Montsalvat di Andrea Morstabilini i mondi che, questa volta malinconicamente, si contrappongono sono la vita ordinaria e le fantasie in cui trovare rifugio, che è anche una contrapposizione tra i ruoli imposti dalla società e la possibilità di essere sé stessi. A volte il confine è quello tra conscio e inconscio, come in La capra ferrata di Vanni Santoni o ne Il camicino da morto di Loredana Lipperini, due racconti in cui l’elemento inquietante arriva da favole ascoltate dai protagonisti durante l’infanzia.

Mi fermo qui, anche se non ho certo nominato tutti i racconti degni di nota di questa antologia. Del resto, come si sarà capito, si tratta per lo più di testi a cui è consigliabile avvicinarsi sapendo il meno possibile e a cui nessun riassunto renderebbe onore. Credo comunque che la rapida ricognizione sarà bastata a rendere un’idea della varietà di contenuti e suggestioni presenti nel libro o, detta in altre parole, di quanti sono i sentieri possibili che attraversano il bosco.

Narrativa | L’anno del fuoco segreto | AA.VV. | Bompiani | 272 pagine

Marcello Conti è nato in Piemonte nel 1992. Si è laureato in Lettere moderne a Torino e ha studiato giornalismo a Bologna. È giornalista professionista e collabora come cronista con Repubblica. Cura il podcast indipendente Sottolineature, dedicato alla saggistica.

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