Scrivere per far nascere la fine

Plasmare, dal fango, una qualche figura è opera di bambino e di creatore. Nel racconto Le rovine circolari di Borges un uomo dà vita a un altro uomo, in questo modo. Cosa può succedere se un uomo sceglie la forma del libro? Come si distinguerà l’autore da quel manoscritto? Quale sarà la funzione finale dell’uno e dell’altro?

È una fantasmagoria, questo gioco dell’immaginazione e della scrittura che si gioca a Bucarest, città che è parte di questa visione, dove vive un uomo che è al contempo artefice e oggetto di quella visione, che a sua volta è artefice o oggetto di un’altra visione, così, verso una direzione infinita e labirintica che trova compimento infine solo nell’autore, Mircea Cărtărescu, che con Solenoide segna un capolavoro trasversale a tutte le letterature: ci sono Kafka, Poe, Pynchon, Borges, ma anche Dante, Tudor Arghezi, Piovene (si cita il suo Le stelle fredde) e Lautréamont.

Non dovrebbe stupire, se si conosce Cărtărescu, se si ha letto Abbacinante o persino Nostalgia, con quel gioco della settimana che si fa allegoria, prima del menarca e poi del Gioco come concetto, come metafora della scoperta dell’Universo. L’autore rumeno è un visionario, uno gnostico della scrittura, depositario di una fede nel gesto dello scrivere che sembra contenere ogni moltitudine e ogni parola che verrà. E anche Solenoide è saturo di luci, di colori, di farfalle, di giochi, ma anche di incubi, di acari ingranditi, di dolore, di mostri.

E l’uomo? L’uomo è un insegnante di rumeno che lavora in una scuola di periferia, ripete sempre gli stessi gesti, sembra preda disperata di una vita di noie, eppure vive così tante avventure, psichiche, emotive, allucinate da essere tutti gli uomini e nessun uomo allo stesso tempo, divinità quotidiana e mostro in forma umana, emblema dello smarrimento e scintilla della scoperta.

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