Régis Jauffret si confronta con il limite della storia e se possibile lo porta ancora più lontano. Scrive un romanzo storico dove la storia emerge da ambientazione, luoghi e personaggi. E tempi. Il 1889 non è un anno qualsiasi né un anno scelto per una questione commemorativa. Il 1889 diventa suo malgrado l’anno dell’inizio della storia e del male. Dunque la storia cammina, verso la filosofia e il senso dell’umanità, attraverso un racconto prosaico, quotidiano e normalizzato. 1889 è la scelta di raccontare dei genitori di Hitler, che risponde a un’esigenza precisa, che è sia quella di indagare ancora su ciò che consideriamo universalmente il punto più alto del male, sia quella di ragionare sulla natura umana nei suoi rapporti e condizionamenti con l’ambiente sociale, in questo caso l’Austria di Braunau Am Inn, dentro la casa dove vivono i due protagonisti, il padre e la madre del futuro dittatore. Anche questo rientra nella complessità del tema trattato, dato che noi non vediamo mai Adolf se non nell’immaginazione della mamma che lo porta in grembo per i nove mesi in cui è ambientata questa storia. Jauffret sceglie di raccontarla consapevole dei rischi che corre, scrivendo una postfazione nella quale specifica: «I fatti e le parole citati che hanno un rapporto anche lontano con la Shoah corrispondono alla verità storica. […] Per contro, documenti e testimonianze sulla vita dei protagonisti di questa storia sono rari. […] E la finzione ha dato corpo al libro che, per questo, appartiene pienamente al genere romanzesco».
Un modo classico, naturalistico, di scrivere un romanzo, fatto di invenzioni quotidiane che si ergono ad alludere, a rappresentare, a condividere con il lettore la forza e la fragilità della Storia, attraverso la consapevolezza della fragilità di questa gravidanza che avrebbe potuto condurre a un diverso Novecento. Ma la narrazione
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