In uno dei passi più memorabili di Pastorale americana di Philip Roth si legge: «Rimane il fatto che, in ogni modo, capire bene la gente non è vivere. Vivere è capirla male, capirla male e male e male e poi male e, dopo un attento riesame, ancora male». Ecco, La luce naturale, l’ultimo romanzo di Marco Archetti, uscito per Mondadori, è una storia di gente che si capisce male e che continua a capirsi male. Tra le sue pagine incontriamo i tre protagonisti (i fratelli Flavio, Tiziana e Gabriele Calore), continuiamo a saltare tra i loro punti di vista e così facendo li vediamo moltiplicati: per come vedono sé stessi, ma anche per come si vedono reciprocamente. E nella mente di ciascuno gli altri vengono puntualmente non capiti, fraintesi, ridotti a caricature grottesche. E in fondo manca pure la volontà, lo sforzo di provare a capirsi: tutti troppo presi da egoismi e velleità sterili per tentare un passo in direzione dell’altro.
Il motore immobile (letteralmente) intorno a cui si muove questo dramma delle incomprensioni è la madre dei tre fratelli Calore: Elvira, che durante una vacanza a Eraclea, località marittima vicino Venezia, è colta da un malore che dovrebbe lasciarle pochi giorni di vita. Al capezzale dell’anziana signora, incosciente nel letto dell’albergo frequentato ogni estate per una vita, si radunano i tre figli a condividere malvolentieri un’agonia che si prolunga indefinitamente. Ciascuno porta con sé le proprie meschinità: Flavio è un attore teatrale di scarso successo, pieno di rabbia e frustrazione; Tiziana è incastrata in una vita insoddisfacente e in un matrimonio infelice e cerca la rivalsa passando da un innamoramento non corrisposto all’altro; Gabriele, tra problemi di donne e di denaro, sembra aver fallito tutto quello che poteva fallire, eppure conserva una ingenuità quasi infantile. Buona parte delle cose
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