Per Nazione Indiana, ho scritto del libro La vita di chi resta, di Matteo B. Bianchi.
«Milano, nella sua casa, fra i suoi libri, fra i piccoli oggetti preziosi che ha comprato in giro per il mondo, fra le sue candele sempre accese e le decine e decine di bottiglie ben allineate sul tavolo di mogano dell’angolo bar, gli sembrava un rifugio antiaereo» scriveva Tondelli. Le cose materiali sono protagoniste nell’inizio del nuovo romanzo di Matteo B. Bianchi, La vita di chi resta, edito da Mondadori. Casa, ascensore, vestiti, scarpe, simboli del quotidiano e della discontinuità, uniti al mantra del parere popolare, per l’abbandono terapeutico delle cose materiali. Perché? Non ha senso, si dice l’autore: «Non riescono a capire che dai ricordi sono invaso». Inizia l’egida dell’irrealtà, in un memoir delicato, scarno e pacifico.
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Narrativa | La vita di chi resta | Mondadori | 252 pagine
L’immagine in copertina è di
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