Bitetto sceglie di sollevarsi dal piano terreno dei suoi personaggi, si prende la libertà di giudicare i comportamenti umani portando anche noi su un piano superiore, con il pretesto di una statua di Padre Pio che si fa osservatrice, narratrice delle storie che vede svolgersi sotto i suoi occhi, delle preghiere che sente rivolgersi, nel giardino privato delle onoranze funebri dove è stata voluta dal suo proprietario.
Statua, dunque, non santo. Feticcio, non verità, pezzo di roccia che finisce per trasformarsi per mano dell’uomo e ad atteggiarsi per quello che l’uomo l’ha designata: santo, appunto, ma Santo niente, Sacro niente.
Il libro, uscito per Voland, è introdotto da una nota di Leopardi sulla disperazione e sull’onnipotenza, dunque sulla vanitas, che è difatti il tratto ricorrente, sia dei personaggi coinvolti in questo excursus che di narrativo ha tutto e niente, sia della situazione in sé, dato che le risposte del santo non esistono, una statua non può rispondere, anche se a questo discorso ci sono due eccezioni. Se la gran parte dello spazio del libro è dedicato alle storie che pochi personaggi che si susseguono senza un filo logico che le unisca ci raccontano, ci sono però altri due personaggi, Antonio e il ragazzo, che ricorrentemente entrano in relazione, inevitabilmente, con la statua, il primo perché se ne deve occupare per tenerla pulita, il secondo, il figlio del proprietario della ditta, un ragazzo sveglio e curioso e carico di domande esistenziali alle quali il santo prova a rispondere e alle quali
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