Non è per nulla scontato scrivere una recensione di un libro tecnicamente perfetto. Esistono perfezioni diverse, in letteratura. Quella di Tre Piani, di Eshkol Nevo, è una di quelle perfezioni che dipendono dalla natura dialogica del libro. Nelle tre storie narrate l’autore riporta tre lunghe confidenze che un narratore in prima persona, sempre diverso, effettua nei confronti di un’altra. In tutti e tre i casi il narratore si rivolge al suo interlocutore contando su una base solida, di confidenza totale. Inoltre in tutti e tre i casi della narrazione l’interlocutore è lontano: lontano nel tempo nel primo caso, via lettera a un’amica nel secondo, con una registrazione al marito defunto, nel terzo. Nevo sceglie quindi di giocare, di narrare, sul piano più sornione che si possa immaginare: è inattaccabile. Le narrazioni non possono mai essere messe in dubbio, anzi, in un certo senso l’interlocutore si costruisce man mano che la narrazione evolve, dato che chi racconta sa perfettamente, cioè in anticipo, le reazioni di chi dovrà ricevere quel discorso. Inoltre la complicità è totale anche in virtù delle azioni raccontate. Si tratta di fatti complessi, che comprendono personaggi complessi, sfaccettati, che si muovono in situazioni piene di sfumature. Ci sono errori, momenti retorici, clichées, nelle loro scelte e nel mondo che li circonda. Chi racconta confida nella comprensione dell’altro. La complicità è totale sul piano morale e in esso è circoscritta. La comprensione da parte dell’altro, in questo senso, è la vera protagonista del romanzo. Non è pensabile la sua assenza. In questo l’autore è sicuramente magistrale. Ma proprio qui c’è un eccesso di tecnicismo, se è vero che anche l’autore si rivolge allo stesso modo nei confronti del lettore. I suoi personaggi sono infatti estremamente lineari, perché lineare è la narrazione. Intorno a loro tutto evolve, e repentinamente, ma
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