In L’anno del bradipo, uscito per Inschibboleth nel 2021, Domenico Calcaterra raccoglie i suoi pensieri sulle esperienze di critica letteraria. In quello che lui stesso definisce un journal, giorno dopo giorno intreccia un discorso autobiografico dove alla critica intesa come meditazione sui metodi e sugli autori si aggiunge il privato: la memoria del padre e le sue esperienze con il volo, la storia dell’arte, il recupero di certi autori minori del ‘900 e anche dell’800, il rapporto con i social e naturalmente, la scuola. È proprio nelle pagine dedicate al suo mestiere di insegnante in una scuola media che emerge più lampante la sua posizione sulla critica. Il nesso fra scuola e critica letteraria, nel tentativo necessario di muovere la critica dalle paludi dell’accademismo per riportarla su un piano quotidiano, pragmatico, appare come un insieme congruo e strutturato di riflessioni sulla didattica.
“Il pensiero critico, scrive Calcaterra a pag. 80, si comincia a coltivare proprio sui banchi di scuola.” Va da sé, il commento è il ragionamento sulla “totale indifferenza nella quale operano i primi tra gli intellettuali di uno Stato: gli insegnanti.”, che “Scendendo in piazza, difendendo la scuola pubblica e la funzione dei docenti – anziché agitarci dietro astratti lucori: popolo, massa, pubblico – saremmo davvero a un soffio da una riconquistata possibilità di riguadagnare il tanto agognato ruolo di coscienza storica, civile ed etica del nostro Paese.”
Quale sia la congiunzione fra critico e insegnante è presto spiegato grazie al Fedra di Raffaello, il ritratto di Tommaso
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