Città tropicale

Uno stato di coscienza alterato può essere causato da tante cose: da una sostanza psicoattiva, ovviamente, e anche dagli effetti dell’astinenza da essa; da una religione che può cambiare radicalmente il modo di vedere la realtà (studi hanno dimostrato che i sentimenti religiosi attivano certe aree del cervello, dunque si può dire che il cervello di un credente fervido funziona diversamente da quello degli altri); ma anche dal caldo opprimente che prosciuga la lucidità mentale. Città tropicale (Polidoro editore), secondo romanzo di Luca Bernardi, è un libro in cui l’alterazione della coscienza (in tutte queste forme, che si alternano e si sovrappongono) permea quasi ogni pagina, come un filtro che distorce in maniera impercettibile ma persistente tutto ciò che i protagonisti (e noi con loro) vedono e vivono.

Si apre proprio con la descrizione di un paesaggio che l’afa sembra trasformare in una allucinazione, fatto di cose che si accumulano una dopo l’altra come apparizioni scialbe: «Correva scalza nel vialetto sotto il cielo bianco tupperware. Sul prato secco una barbona aizzava corvi e due donne salutavano il sole smorto. Rider supini sulle panche giornali stesi in faccia. Signore rigide guinzaglio dietro la schiena e bassotti a lingua fuori tra le ortensie vizze. Sotto un cedro ragazzini in cerchio con dalle casse». A correre scalza è la protagonista Zoe. Segue la descrizione di un incontro con il suo psichiatra da cui viene a sapere che dovrà sospendere il Nivanal, uno psicofarmaco che Zoe assume da anni e che è appena stato ritirato dal mercato. Lo psichiatra fa di tutto per rassicurarla, eppure le sue parole suonano sottilmente inquietanti. E l’inquietudine (alimentata dalle voci allarmanti sul Nivanal che proliferano online) Zoe se la porterà dietro per tutto il romanzo, come se costantemente incombessero su di lei effetti collaterali imprevedibili.

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