Con un paragone neanche troppo dissacrante potremmo dire che il Premio Strega è il Festival di Sanremo della letteratura. Ormai più brand immediatamente riconoscibili che premi, eventi più mediatici che musicali o letterati, tendono a far baccano intorno a sé e quindi a calamitare l’attenzione (compresa quella di chi si dichiara non interessato). Offrono infiniti spunti per commenti, riflessioni e – soprattutto – polemiche. Sono, del resto, proprio le polemiche la più indubitabile dimostrazione della rilevanza che queste istituzioni hanno assunto. E se spesso si dice che Sanremo è occasione privilegiata per osservare uno spaccato esaustivo della cultura popolare italiana, lo stesso può valere per lo Strega per quel riguarda il mondo letterario-editoriale.
Non per nulla un critico e studioso acuto come Gianluigi Simonetti ha scelto il premio Strega come terreno su cui edificare un interessante saggio di sociologia della letteratura: Caccia allo Strega. Anatomia di un premio letterario, edito da Nottetempo. Simonetti non è nuovo a questo tipo di approccio allo studio letterario: nel 2018 aveva già pubblicato per Il Mulino La letteratura circostante, un libro che tracciava una mappa della letteratura italiana contemporanea, non con l’obiettivo di individuare le migliori opere degli ultimi anni, bensì con l’intento di analizzare la produzione media (e talvolta anche mediocre) ma di successo, individuarne le tendenze, per capire perché oggi si scrive quello che si scrive e si legge quello che si legge. Nella consapevolezza che per rispondere a queste domande non ci si può limitare alla ricerca e allo studio dei valori letterari (spesso e volentieri latitanti, del resto) delle opere prese in considerazione, ma bisogna anche guardare a quello che sta attorno ai testi.
In Caccia allo Strega, è il premio letterario più famoso del nostro Paese a essere preso come osservatorio privilegiato per portare avanti una riflessione su quelle
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