Gli ultimi americani è un romanzo dalla scrittura lineare, composta, ordinata. Allo stesso tempo è un romanzo sulla scrittura: due dei tre personaggi che compongono il trittico che lo permea sono scrittori: lo scrittore e Alma. Il terzo è Lola, una colombiana che prima di emigrare è una donna di servizio. Ed è l’amante dello scrittore, ma anche Alma è l’amante dello scrittore. La storia si va a comporre nei tasselli che servono a dare un quadro preciso delle migrazioni, sia come concetto sia nel particolarismo dei sudamericani che salgono al Nord, che arrivano a New York, città dove convergono tutte le storie. Sotto traccia gli uccelli, metafora perfetta delle migrazioni, raccontati in diversi momenti, diverse specie, diverse abitudini. Come noi si comportano seguendo criteri, modificando la nostra idea di vero, stupendoci.
A questo punto, vien da dire, Gli ultimi americani si mostra senza trucco per quel che è: un romanzo dove si intrecciano tre grandi fenomeni sociali, o idee, o storie: le migrazioni e la scrittura, o le migrazioni e la posizione dei personaggi, questi, sempre precari a sé stessi, sempre in bilico in una dimensione esistenziale che cerca eternamente un completamento. O ancora, in altra forma, la posizione dei personaggi e le migrazioni, in un eterno rincorrersi. Dunque, un triangolo equilatero dove tutto appare in perfetto equilibrio, in perfetta armonia, almeno dal punto di vista della scrittura: Farinelli non ama evidentemente il disordine, sceglie consapevolmente di parlare di situazioni problematiche, irrisolte, ma si impedisce di presentarle in modo
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