Saggio forse non è la parola giusta per indicare La Russia di Putin, una raccolta di articoli di Anna Politkovskaja di recente ristampa da parte di Adelphi. La saggistica è fatta di numeri, considerazioni, grafici, fredde analisi. Le parole di Anna Politkovskaja sono invece calde, dense di passione e anima, esprimono tutta la rabbia verso l’allora nascente regime di Vladimir Putin, verso i primi anni della sua presidenza. Il lettore è avvisato sin dalla prima riga: «Qua non si parla di un tema molto in voga in Occidente: non si parla di Putin con toni ammirati».
Sono trascorsi quasi vent’anni dalla pubblicazione, Putin è ancora al potere grazie a modifiche costituzionali e a brogli elettorali, ma la forza delle parole di Anna Politkovskaja non ha perso vigore. Anzi, lo ha riacquisito. Era tutto sotto i nostri occhi ma abbiamo voluto non vedere nulla.
La Russia di Putin non ha paura di essere parziale, non teme di dover prendere una posizione. Non è equidistante, per usare una parola tanto in voga in queste settimane di guerra. È un atto di accusa. L’inizio di un processo. Anna Politkovskaja credeva che il compito di un buon cronista non fosse quello di riportare ogni posizione ma raccontare quello che vedeva. Vedere, comprendere, essere partecipe. I deboli sono i protagonisti delle sue storie ma è uno sguardo di compassione e rispetto, non li rende fenomeni da baraccone come fa molto giornalismo contemporaneo ma restituisce loro la dignità.
Il lettore inizia così un viaggio che attraversa questo sterminato e meraviglioso Paese, che attraversa due continenti, dieci fusi orari ed è più grande di Plutone, un tempo pianeta ora declassato dagli astronomi.
Non è questa la sede per dettagliate analisi geopolitiche o sociologiche e non è neppure lo scopo del saggio. Lo scopo è piuttosto raccontare nel
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