Il ritorno alla narrativa di Alessandro Cinquegrani con Pensa il risveglio è l’approdo di un percorso poliedrico, l’insieme di diverse suggestioni. Non c’è l’aderenza a un canone narrativo classico, è un testo sperimentale e coraggioso, ma non esiste neppure un genere preciso nel quale collocare l’opera. L’impianto può essere quello del postmoderno, essendo forti i nessi nella struttura narrativa con il cinema e con la storia. È un meccanismo narrativo che scompone i piani del racconto e li dispone in modo originale e volutamente inatteso. L’orchestrazione si basa sulla ricerca, o meglio sulle ricerche.
La trama si muove intorno alla ricerca di Lorenzo, scomparso dal set di un film su Albert Speer, l’architetto del Reich, ma essa diventa un pretesto per una ricerca esistenziale, dell’identità, del senso del male nella storia e in ciascuno di noi, un tema inevitabilmente attuale nella misura in cui il nostro rapporto con il male passa sempre attraverso il confronto con i drammi della seconda guerra mondiale.
L’autore non nasconde nulla del suo progetto, rischiando di generare confusione nel tentativo di dare ordine alla storia. Questo si rivela però un punto vincente del romanzo, perché i passaggi da uno scenario all’altro avvengono sempre a sorpresa, aumentando se possibile il senso di confusione nel lettore. I parossismi, il caos, le catastrofi si rivelano gli strumenti concessi al lettore che si ritrova a seguire la quête con la stessa enfasi e gli stessi turbamenti del protagonista, Alberto. La ricerca avviene in lui e attraverso di lui, i suoi pensieri, i suoi schemi e i suoi superamenti e soprattutto i suoi frammenti, come se l’ipotesi di una soluzione restasse sempre tale, come una realtà che si svanisca in milioni di pixel prima di ricomporsi diversa.
«Si salva così, con buon senso calcolo, carisma, fascino, non è così, pensa,
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