Minifesto

Giulio, Fabrizio e Alessandro sono tre persone, tre studenti universitari, tre appassionati di letteratura, tre individui sensibili a parole come comunità, unificazione, relazioni, futuro. E da ora sono anche tre editori, perché il Super Tramps Club, la rivista letteraria che era e continua a essere, è diventata anche questo, e si è annunciata con il Minifesto I, il primo numero dedicato al mondo universitario, che loro frequentano in prima persona e quindi anche criticamente. Il testo, di formato agile, è composto dei loro tre contributi, accompagnati da disegni che illustrano gli episodi raccontati.

Dopo la prefazione di Fabrizio Pelli, «un manifesto serve ad unire, è un’azione di unificazione», il primo contributo, di Giulio Frangioni, che si intitola Ripetizioni – Quindici lezioni per un’università migliore, è, dei tre, quello più lungo e strutturato. Giulio parla di sé, dei suoi amici, di quello che vede ogni giorno, racconta di Luca, l’amico che deve fingere di dare gli esami perché i suoi non ammetterebbero da lui che si dedicasse alla musica, delle mail dei docenti che lo invitano a mantenere un registro elevato e formale, e dei suoi studenti: Giulio dà ripetizioni private in videochiamata che diventano regolarmente altro. Degli spazi di confronto, delle richieste di ascolto, oltreché delle lezioni private che servono a Giulio per fronteggiare le spese non esigue del mondo universitario. Il discorso si fa più ampio, si ricollega in senso generale alla logica della performance (lo studio è produzione per un esame, per un voto, mai occasione di crescita umana), che ricade sugli studenti che si affannano fra anfetamine, depressioni, mancanza di obiettivi e qualche volta tentativi di suicidio. Sono, questi, i personaggi di una scena italiana ben nota, quella del mondo dell’università, una commedia dell’arte dove uscire dalle proprie maschere sembra vietato, sembra impossibile, il canovaccio che racconta

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L’anno del fuoco segreto

«Siamo tutti bambini nel bosco, perduti, abbandonati. Sussultiamo a ogni rametto spezzato, ogni fruscio degli alberi è una mano tesa a proteggerci o forse a ghermirci». Inizia così la prefazione (firmata dai due curatori, Edoardo Rialti e Dario Valentini) di L’anno del Fuoco Segreto. Ciascuno dei venti racconti che seguono trasportano il lettore sul confine di quel bosco e lo lasciano lì, a procedere dubbioso ed esitante, a maneggiare testi senza sapere bene che cosa siano. L’impressione che rimane più viva a fine lettura è probabilmente questa: il disorientamento – che si ripete all’inizio di ogni racconto – del trovarsi senza coordinate immediatamente riconoscibili a cui affidarsi.

L’anno del Fuoco Segreto è un’antologia che è difficile riassumere perché estremamente variegata per stili e contenuti, ma anche per il background e le inclinazioni degli autori coinvolti. Il libro è il frutto finale (per ora) di un fermento creativo che si era già espresso nelle pagine online di Nazione indiana, dove alcuni dei racconti erano apparsi precedentemente. Il titolo è una citazione tolkeniana (è lo stregone Gandalf a definirsi «servitore del Fuoco Segreto»), mentre il sottotitolo è Il novo sconcertante italico: una definizione non inedita (se ne discuteva già nel 2018 su L’indiscreto, in un dibattito in cui presero parte anche alcuni autori che ritroviamo in questa raccolta) per indicare la via nostrana a quel sottogenere della letteratura fantastica chiamato New weird. Ma parlando di generi ed etichette emerge la prima contraddizione con cui una operazione del genere deve confrontarsi: se il weird è un genere che si costituisce a partire dal superamento dei confini dei generi, tentare di definirlo o incanalarlo, anche soltanto per porre i paletti entro cui una antologia deve muoversi, significa rischiare di ucciderne la vitalità. «L’invito al fantastico è il richiamo d’una continua pulsante anomalia rispetto a

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