Vivevano insieme nella periferia di Sofia e ascoltavano il vento scontrarsi con le pareti davanti a ingombranti tazze di caffè riscaldati. Lui diceva sempre parole adulte e le sue labbra si muovevano piano per non riaprire la crepa. Lei gli sorrideva anche quando era arrabbiata e le sue mani contorcevano un foglio di carta. La sera non era densa e sapeva far venire a galla anche le voci più sottili. Calò rapidamente e li trovò seduti allo stesso tavolo, come ombre nel buio. Le sette di sera erano l’eternità, che in quel momento sembrava immutabile e d’argento.
Lui alzò la testa e le fece un cenno con la mano. «La notte in cui lasciai la Bulgaria vidi una donna fare l’amore con due uomini nella stiva, uno di loro era il capitano. Attraverso il vetro riuscivo a vedere le smorfie che faceva; adesso non sarei in grado di descriverle, ma le ricordo bene.» La donna rimase in silenzio. Si domandò perché rievocasse adesso quel ricordo, ma non colse il momento giusto per chiederlo. Lui stava già continuando: «Il Mar Nero mi è sempre sembrato un vecchio gigante, e in quel momento, in quelle smorfie, mi sembrava un bambino addormentato».
Ci furono alcuni secondi di silenzio e lei si alzò dirigendosi verso la cucina, dove aveva lasciato sul fuoco una zuppa di patate. Passando, premette l’interruttore e riportò in soggiorno la luce. Mescolava e lo immaginava su una barca di notte e immaginava l’odore che ha l’aria su una barca di notte. Lui si voltò a guardare un loro vecchio sorriso dentro una cornice di rovere, attendendo di sentire il suono del mestolo di legno che batte sulla pentola di metallo. Sapeva che dopo averla mescolata lo avrebbe leccato e riposto longitudinalmente sopra la pentola. Nel frattempo, si scoprì a pensare
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