L’ultimo commosso saluto a un uomo molto amato

Si può tifare per un politico corrotto? Uno di quelli che vivono solo di intrighi, che hanno dimenticato da tempo i loro ideali? Si può stare dalla sua parte? Si può sperare che riesca a sfuggire alla giustizia anche se ormai tutto è finito?

L’ex onorevole Mariolino Celeghin è il protagonista indiscusso de L’ultimo commosso saluto a un uomo molto amato (edito da People) e il romanzo si apre con la notizia della sua morte. È un tranquillo pomeriggio del dicembre del 2019 e le agenzie riportano la notizia appena in tempo affinché sia letta da Mentana alla chiusura del telegiornale. Anche se caduto in disgrazia, Celeghin finisce di colpo fra le tendenze di Twitter e si riconquista per qualche ora un’inattesa popolarità social. Ma l’epoca di Celeghin è un’altra, lontana e al tempo stesso vicina, sono gli anni della Prima Repubblica, dei politici con gli occhiali spessi e i loro discorsi interminabili, gli anni delle partecipate statali e dei delicati equilibri fra est e ovest, dei grandi partiti di massa e delle ideologie che li animavano, dalla Dc al Pci passando per i partiti minori come il Psi o il Pli.

L’autore del romanzo si firma con lo pseudonimo di Pieter Freibeuter e di lui sappiamo poco. Però è noto che dietro questo nome si cela il creatore e gestore di una delle pagine più geniali dei social nostrani: Una foto diversa della Prima Repubblica. Ogni giorno che fra Facebook e Instagram conta circa centomila seguaci. È difficile spiegare a parole lo spirito che anima la pagina perché non è né una semplice rievocazione storica né propone approfondite riflessioni politiche. È semmai un luogo per coltivare quella che i tedeschi chiamano ostalgie, quel misto confuso di nostalgia, ironia, distacco, dissacrazione, romanticismo che in Germania è riferito principalmente alla DDR mentre nel caso della pagina italiana

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La Russia di Putin

Saggio forse non è la parola giusta per indicare La Russia di Putin, una raccolta di articoli di Anna Politkovskaja di recente ristampa da parte di Adelphi. La saggistica è fatta di numeri, considerazioni, grafici, fredde analisi. Le parole di Anna Politkovskaja sono invece calde, dense di passione e anima, esprimono tutta la rabbia verso l’allora nascente regime di Vladimir Putin, verso i primi anni della sua presidenza. Il lettore è avvisato sin dalla prima riga: «Qua non si parla di un tema molto in voga in Occidente: non si parla di Putin con toni ammirati».

Sono trascorsi quasi vent’anni dalla pubblicazione, Putin è ancora al potere grazie a modifiche costituzionali e a brogli elettorali, ma la forza delle parole di Anna Politkovskaja non ha perso vigore. Anzi, lo ha riacquisito. Era tutto sotto i nostri occhi ma abbiamo voluto non vedere nulla.

La Russia di Putin non ha paura di essere parziale, non teme di dover prendere una posizione. Non è equidistante, per usare una parola tanto in voga in queste settimane di guerra. È un atto di accusa. L’inizio di un processo. Anna Politkovskaja credeva che il compito di un buon cronista non fosse quello di riportare ogni posizione ma raccontare quello che vedeva. Vedere, comprendere, essere partecipe. I deboli sono i protagonisti delle sue storie ma è uno sguardo di compassione e rispetto, non li rende fenomeni da baraccone come fa molto giornalismo contemporaneo ma restituisce loro la dignità.

Il lettore inizia così un viaggio che attraversa questo sterminato e meraviglioso Paese, che attraversa due continenti, dieci fusi orari ed è più grande di Plutone, un tempo pianeta ora declassato dagli astronomi.

Non è questa la sede per dettagliate analisi geopolitiche o sociologiche e non è neppure lo scopo del saggio. Lo scopo è piuttosto raccontare nel

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Un mancato addio

Cos’è in fondo una vita? La nostra memoria imprime gli eventi più incredibili e straordinari, ma ciò che realmente ci dà energia è la magia del quotidiano. E cos’è allora il quotidiano? È il lento stratificarsi di una routine, gesti tutti uguali, piccole certezze che costellano il giorno e che in genere finiamo per odiare o identificare con la noia e la depressione. Poi, all’improvviso, tutto va in frantumi. Si pensa, in questi giorni, agli abitanti di Kiev e delle altre città ucraine mentre in Atti di un mancato addio del giovane Giorgio Ghiotti (classe 1994), libro in corsa per il Premio Strega, il fattore scatenante è la scomparsa di Giulio, amico del gruppo di giovani protagonisti che anima le pagine del libro.

La prosa elegante del romanzo porta il lettore nella vita degli universitari di Roma. La Città Eterna ha una sua parte e il quartiere San Lorenzo partecipa alle vicende, con le sue vie dedicate ai popoli italici, i suoi locali, le sue tabaccherie, le sue case un tempo operaie e ora popolate da una fauna mista fatta di studenti, fuorisede, lavoratori, immigrati, prostitute. Se Roma è madre per tanti fuggiaschi, San Lorenzo è il porto in cui molti di questi fuggiaschi e trovano riparo. Non è un caso che nelle prime pagine appaia Bologna, un’altra città rifugio per universitari e non solo.

La voce narrante di Edoardo, studente di Lettere, ci conduce dunque nell’equilibrio spensierato di questo gruppo variegato di giovani, equilibrio che si incrina quando uno di loro si incammina lungo la Tiburtina e non torna più. Le ricerche della polizia, della famiglia e degli amici non portano a nulla e il gruppo si trova a dover convivere con una perdita che sembra non trovare spiegazioni.

Non trovando più fisicamente Giulio, i protagonisti si affanano a

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Densità

Castel Carpino, immaginario paese del meridione, è sconvolto. Il giovane nuotatore Filippo, quattordici anni, sale sul trampolino dei tuffi e si lancia nel nulla della piscina vuota.

Inizia così Densità il romanzo d’esordio di Raffaele Notaro, edito da Mondadori. Lo scrittore, che nella vita cura anche il podcast Le Bookoliche, non nasconde nulla sin dalle prime pagine: il suicidio di Filippo è la miccia che fa saltare in aria il paese.

Il paese, colpito a morte da quello schianto, reagisce con la ferocia delle bestie ferite e turbate. Il timido e goffo Gabriele è un ragazzo «problematico», che soffre di una non diagnosticata dislessia, scambiata per svogliatezza dai suoi insegnanti, e diventa il capro espiatorio per la morte del suo inseparabile migliore amico.

Messo sotto accusa dai pettegolezzi e dalle insinuazioni dei suoi compaesani, Gabriele si ritrova costretto dalle circostanze a rivedere e a cercare di capire cosa sia stata la sua amicizia con Filippo, cosa abbia rappresentato per lui, e nel cercare Filippo inizia a cercare sé stesso, l’aver vissuto costantemente all’ombra in una vita che fino a quel momento era stata, come capita spesso a chi è emarginato da bambino, pura sopravvivenza. Ma sarebbe riduttivo considerare Densità come un semplice romanzo sull’amicizia o sulla formazione.

La vera protagonista della storia è piuttosto la vita di paese, le sue severe regole, le paure, le sovrastrutture. Anche se Densità non è un romanzo horror, impossibile non pensare al miglior Stephen King e a certi passaggi di It o Carrie. Anche qui mentre l’occhio dello scrittore si concentra su teenager in lotta per l’affermazione di sé stessi, intorno si scatena il gran ballo degli adulti. E come in King, Notaro osserva senza pietà i genitori, i padri assenti e lontani e le madri ossessive e iperprotettive. Non c’è assoluzione per nessuno

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Una ragazza

Il re ha parlato, ieri sera, alla radio. Ha cercato di tranquillizzare il popolo, invitandolo a non aver paura del precipitare degli eventi e al tempo stesso a restare vigili, allerti, attenti. L’invasione può iniziare da un momento all’altro. È ingenuo sperare ancora nella pace. Ciascuno dovrà fare la sua parte, forse solo i bambini ne resteranno fuori, ma anche le loro vite saranno coinvolte.

Il governo ha mobilitato i soldati di leva, i riservisti e anche le riserve delle riserve. I miei fratelli sono già partiti; Luka è stato spedito a nord-est, vicino Spina, in uno dei luoghi più prossimi alla costa nemica, mentre Mahco è in servizio a Atia, sulla costa orientale, in un altro punto delicato. Basta guardare la cartina geografica per capire e non farsi illusioni. Siamo circondati. Ho l’atlante fra le mani, in questo momento, come i generali, e dall’atlante arriva una condanna senza appello. Il nostro piccolo Stato è un’isola grande pressappoco come la Cecoslovacchia. La terraferma non è distante, pochi chilometri ci separano da tre grandi Paesi: il primo, la Dittatura, è quello che vuole attaccarci, e ci guarda da est, da sud e in parte anche da nord. A nord e, per un tratto ad ovest, troviamo la Repubblica, a ovest/sud-ovest, il Regno. La nostra storia di isolani è sempre stata segnata da queste tre potenze che vorrebbero prendere possesso della nostra posizione strategica. Ma ogni volta che una ha provato a sottometterci, le altre si coalizzavano e impedivano alla terza di divorarci. È sempre stata così la nostra storia e sono secoli che ci salviamo grazie a questo equilibrio.

Sono vent’anni che la Dittatura ci lancia provocazioni, reclama pezzi di mare, isolette, ci vorrebbero meno disinvolti e più sottomessi alle loro manie di grandezza. Vogliono prendersi dal confine con i Paesi

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