«Sarà un banchetto di morte e avrà un sapore delizioso.» Così scrive ad un certo punto Scott McClanahan, noi potremmo benissimo sostituire «banchetto» con «romanzo». In effetti, non è un romanzo che parla molto, piuttosto comunica un senso di morte: il plot è trascurabile, i personaggi possono passare sottopiano; ma il tutto ha un sapore delizioso. Ciò che tiene incollati alla pagina è il ritmo, la voce incalzante, pneumatica, prevedibile sintatticamente ma imprevedibile nei contenuti. Fa ridere, sa giocare, sa commuovere, sa indurci alla riflessione. La prima parte del libro non è altro che la storia del protagonista, un pischello che impara a conoscere la morte dei suoi cari. Non si può parlare di eventi, quanto di avvenimenti, poiché trascurabili nella loro intima natura di causa-effetto. Tutti i personaggi, tranne l’Io, sono malconci, malinconici, mal-conciati, difettosi, tremendamente decadenti, liminari, a un passo dall’ultimo respiro. C’è un’estetica del corpo che non funziona bene, che dev’essere romanticamente brutto o guasto per farlo funzionare narrativamente. Anche da morti i corpi appaiono deformi. Da vivi c’è una lunga descrizione su quanto il corpo sia storto; da morti c’è un passare oltre, una descrizione taciuta, talvolta uno splatter semi-invisibile, un’indicazione che rassicura il lettore: non …
Autore: Alessandro Tesetti
«La situazione in patria non era buona. Non bisogna sognare ma essere coerenti, mi dicevo. Non bisogna perdersi dietro a una chimera ma essere patrioti, mi dicevo. In Cile le cose non andavano bene. A me le cose andavano bene, ma alla patria non andavano bene.» Sembra che Remo Rapino sia partito proprio da qui, da una frase di Roberto Bolaño contenuta in Notturno cileno. Il titolo: Valdés in uscita per Tetra Edizioni, mente, trae in inganno; ma ce ne accorgiamo solo dopo aver letto un bel po’ di paginette. Dire che sia la storia di un ragazzino che diventa calciatore sarebbe un’assurdità, sarebbe meno assurdo, invece, dire che sia la storia di una famiglia cilena di generazione in generazione, che trova riscatto e ascesa sociale grazie a Francisco Valdés, detto Paco. E questo per i connotati politici legati all’opera, la cui chiave di lettura è imprescindibile. Ma è comunque poco esatto, proviamo invece a prendere per protagonista la storia politica delle dittature, qualunque esse siano. «Francisco Valdés era proprio bravo, quattordici anni ancora da fare, uno scricciolo tutt’ossa e nervi. Una delizia star lì a guardare quelle gambe da grillo elicare nell’aria.» Quindi un ragazzino che gioca a calcio, …
Faccio questo mestiere da un sacco di tempo, vedo i bambini sorridere quando colpiscono il bersaglio, arrivo la sera con un dolore tremendo agli occhi. Il furgoncino l’ha comprato mio padre in cambio di pollame, suini, soppressate. Erano gli anni ‘80, tutti avevano fatto il salto sociale, e mio padre era stanco di zappare e macellare. Così ci siamo messi a girare per feste, fiere; io erano più i giorni che non andavo a scuola che quelli in cui c’andavo, a lui non importava, bastava che aiutassi a smontare e rimontare senza storie. Ho preso la terza media, volevo studiare il francese, il tedesco, l’inglese. Quindi scelsi il liceo linguistico, era giugno quando una sera a cena mio padre spense la tv – era sempre accesa, se mi fermo a ricordare casa e l’infanzia non mi viene in mente altro che la tv sempre accesa, poi certo, altri rimasugli di vigne, colline, soppressate; ma la tv accesa copre tutto – e mi chiese: «Tu vuoi studiare le lingue o le lingue, insieme alla matematica, la scienza, l’arte?» «Le lingue, faccio io.» «Solo le lingue? Non pure le altre cose che si studiano al liceo?» «Penso soltanto le lingue, perché.» (Senza …
Roberto la mattina esce di casa per andare all’università. Studia Giurisprudenza, ha una buona media, è l’unico della sua famiglia ad aver raggiunto un simile titolo di studio. Mentre suo padre faceva la vendemmia o tirava il latte dalle zinne delle mucche o coglieva i pomodori, lui sottolineava libri su libri. Viveva a Siracusa, non ha mai pensato di andarsene, ma poi il fascino della città l’ha strappato via dall’isola. Ora Roberto vive a Roma, suo padre sapeva che non era portato per la campagna e l’ha lasciato andare. 860 km lontano da casa, nostalgia diabolica solo di notte. Esce di casa ogni mattina alle 7.45. La borsa a tracolla è sempre piena di libri, fogli e scartoffie, gli pesa sulla spalla. Giorgio lavora, fa il magazziniere. Dopo il liceo non aveva più voglia di studiare. Ha provato qualche concorso in forza armata ma non è passato. Si è messo su internet ed ha inviato il curriculum scarno a tutti gli annunci che trovava. Non aveva propositi, idee, scelte preferibili. Semplicemente voleva un lavoro. La famiglia non gli ha mai rimproverato questa scelta. Forse il posto fisso e una divisa sono più ammalianti, ma meglio così ripetono. Roberto quando …