Alla fine l’Hindenburg è esploso, trentasei persone sono morte, la flotta degli Zeppelin è stata smantellata, i nazisti hanno iniziato e perso una guerra mondiale, e la foto della tragedia – l’enorme sigaro volante, l’alto traliccio di attracco e la palla di fuoco che divora l’uno e l’altro – è famosa in tutto il mondo.
Eccolo signore e signori, stiamo assistendo a uno spettacolo straordinario, sconvolgente. È giunto dal cielo proprio sopra di noi e ora sta compiendo una manovra di avvicinamento…
Era il tardo pomeriggio del 6 maggio 1937, Herbert Morrison dell’emittente WLS faceva la radiocronaca dell’arrivo del dirigibile a Lakehurst, New Jersey, dopo sessanta ore di traversata dell’Atlantico, altri giornalisti e fotoreporter stavano convergendo sul luogo dell’atterraggio per documentare questo evento, nulla di così mastodontico aveva mai solcato i cieli fino a quel giorno, ma lui se ne stava a letto fra le mie braccia, continuando a ripetere che doveva proprio andare, senza decidersi a farlo.
Incontrato la sera prima nel bar dell’albergo, mi aveva colpito il suo sguardo spaesato, stralunato, selvatico, mi aveva attratto quella sua ricerca di contatto fisico, poi mi ero accorta che era bello da almeno tre angolature differenti, e fatale se osservato da sotto, a letto, dove avevamo passato la notte e pure il giorno successivo.
I possenti motori diesel rimbombano, le eliche turbinano nell’aria, continuava H. M. alla radio.
«Devo andare, davvero.»
«Shh, resta ancora un minuto…»
«Vorrei vedere se fosse un tuo provino…»
«Rimarrei abbracciata a te… Cosa conta il resto?»
Se un violento temporale non avesse ritardato di un paio d’ore l’attracco del dirigibile, lui non ci avrebbe nemmeno provato, sarebbe rimasto fra le mie gambe, ne sono sicura, a respirare i miei capelli, ad assaggiare i miei capezzoli, ma quell’imprevisto sembrava dirgli che non poteva perdere la seconda occasione per uno scatto che gli avrebbe di sicuro fruttato parecchi dollari.
Si decise a scendere dal letto e vestirsi, si fece la barba in fretta, procurandosi due piccoli tagli sul collo, si imbrillantinò i capelli fino ad apparire ridicolo, almeno ai miei occhi.
«Aspettami qui, torno presto», disse, aveva davvero bisogno di soldi, me ne aveva parlato la sera prima, ma a me gli spiantati sono sempre piaciuti, hanno un fuoco diverso negli occhi.
Chiamò un taxi, mi salutò con un bacio che sapeva di distrazione, di ambizione, di frustrazione e uscì di corsa dalla porta.
Me lo sono immaginato spesso, nel traffico intasato per via delle strade allagate controllare l’orologio ogni dieci minuti, arrivare a Lakehurst all’ultimo momento, in tempo sì e no per trovare una posizione e preparare l’attrezzatura, osservare per un secondo quel mostro volante con le enormi svastiche sui timoni sfidare le leggi naturali e divine librandosi nell’aria a pochi metri dal traliccio prima di sentire un lungo sibilo e poi un boato.
Va da sé che non fu lui a scattare quella foto, ma Sam Shere, un trentenne che avevo incontrato una volta a Broadway, dopo uno spettacolo, nel camerino, e che non aveva la metà del suo fascino: per questo si era presentato puntuale all’appuntamento con la storia, probabilmente.
Fascino o non fascino, non rimasi in camera ad aspettare il mio giovane fotoreporter. Aveva scelto il lavoro, l’Hindenburg era esploso in una palla di fuoco, io avevo avuto parecchi orgasmi durante la notte e lui aveva perso due occasioni. Curioso perché mi aveva abbordata dicendo: «Domani mi aspetta un impegno importante, dovrei essere già a letto. Le va un drink?»
Racconti | Due occasioni | Giovanni Locatelli
Copertina: Le Silence á travers les âges, Max Ernst, 1968