Spaesante. Come la verità. Una certa verità. La masturbazione, l’orientamento sessuale, la sessualità, il porno, il tradimento, il senso di colpa. I primi passaggi del nuovo romanzo di Vanni Santoni sfiorano, non accarezzano il lettore; proprio come farebbe una mano ancora tiepida sul basso ventre. Poi cresce il desiderio di vederci più chiaro, su quella «Verità su tutto» dichiarata nel titolo Mondadori.
Protagonista è Cleo (Cleopatra Mancini): la quale dopo essersi già abbondantemente messa a nudo nelle prime pagine, tra storie di università e lenzuola, quindi professione e amore, rivendicando piccoli successi, ammettendo errori e ripercorrendo episodi del suo passato che sanno di fallimento ma che comunque fanno parte di un percorso di sviluppo, si concede un’autodiagnosi: «Io volevo andare nella direzione opposta, pensava già questo, Bernhard, da ragazzino, e con una pervicacia quasi mistica, viene in mente proprio Weil che si butta in fabbrica… Avessi avuto un analista, una persona addestrata a deproblematizzare qualsiasi cosa, pagata per obnubilare problematizzando, mi avrebbe detto magari che esageravo a costruire un castello di speculazioni a partire da così piccoli sensi di colpa, che il male che avevo fatto era in fin dei conti minore di quello inflitto da tanti altri» (pag. 73). Balle, «quante balle…».
Perché, improvvisamente, tanti sensi di colpa? Momenti di trascurabile quotidianità diventano pezzi di un complesso puzzle contemporaneo. Una Storia d’amore mozzata dopo otto anni, l’altra che sembra darle pace ma non troppa felicità; un’infanzia e un’adolescenza segnate da un grave lutto. L’età adulta fa scorrere domande in Cleo: cerca risposte nei libri, appaiando alla carriera accademica un nuovo percorso di studi. Ma vecchie aule, esperienze da leader di Collettivo e conoscenze rispolverate dal caso la riconnettono mentalmente al fantasma della sua ex, e giocoforza alla versione di se stessa forse più autentica e ribelle: «E se fa male, vuol dire che ha preso il nervo».
Antichi mondi che ai suoi occhi avevano più senso negli Anni ’90 e inizio Duemila, i free party ormai mutati dalla forza del tempo (e dall’attualità: Covid compreso), assumono i contorni di una nuova scoperta. Spiritualità, politica, business. Cleo rimane quindi impantanata in una sorta di dualismo, irrisolto a lungo – forse anche troppo a lungo – trovandosi a bere contemporaneamente dalla coppa del Signore e da quella del demonio. Da una vita realizzata, una casa, un lavoro in università, a un salto nel buio in cerca di risposte, alla scoperta del misticismo psichedelico nascosto nell’Appennino toscano.
«Eppure, mi dicevo dopo l’esperienza di quello strambo rito dionisiaco, dopo quel giorno di permanenza in quell’ecovillaggio che era comunque un luogo di armonia e coesione (per quanto basate sull’alterità rispetto a un mondo desacralizzato, depoliticizzato e scollegato dai tempi della natura), gruppuscoli o comunità potevano costruire delle eccezioni.»
Si ricomincia. La memoria vissuta viene a galla, condivisa attraverso un microcosmo di eventi offerti a sprazzi in stimolanti conversazioni con Simone Weil in biblioteca. Eccola, la protagonista, ritrovarsi di nuovo allucinata al Parco, a riporre nel taschino quattro acidi nel bel mezzo di un rave party; feste consumate un tempo in prima fila, a cui oggi, Cleo, partecipa da ultima, lasciando a casa Laura (la fidanzata), e per le quali è indotta dal senso di colpa a scrivere un messaggio pasticciando con la tastiera: «E niente, eccomi sotto un albero, costretta a chiamarla mentre le luci diventavano liquide e i suoni colori e un demone possente mi saliva e scorreva lungo la spina, a spiegare che, sì, ero a un rave, che no ovviamente non era previsto, che no, non potevo tornare perché non sarei stata in grado di guidare per almeno sette ore…» E come diceva Nietzsche, «se l’armonia dell’anima è perduta… bisogna ballare». (pag. 98). A cento e più chilometri di curve da Firenze.
La domanda sull’impossibilità di non fare del male a qualcuno, una volta che si entra in un sistema di scelte, è l’interrogativo-centro della fase di vita rivelata da Cleo: e forse del romanzo in sé. Che si muove tra colte citazioni dei classici di studio nelle aule di Sociologia e Scienze politiche, droghe (quasi mai chiamate tali) ordinate sul dark web e percorsi più o meno spirituali.
Vanni Santoni coglie non solo la bizzarria di certi riti mistici, come i festival psytrance o le dinamiche di simil-comuni nate nei boschi sull’onda new age e indù; ne fa scorgere lati meno drammatici al lettore, talvolta facendolo partecipare come spettatore divertito. E li esporta al grande pubblico, avendo anche il merito di far capire attraverso la protagonista, e il suo curriculum vitae, quanto certe realtà considerate fuori norma siano invece chiaroscuri dell’esistenza di persone apparentemente normalissime. E quanto nelle controculture si possa infilare di tutto, da John Lennon ai Cavalieri dello Zodiaco, fino ai bitcoin.
Sullo sfondo, l’immancabile provincia, «quel luogo dove il vecchio muore e il nuovo non può nascere», secondo la definizione di Gramsci. Via dunque verso una nuova cavalcata esistenziale: celata sotto l’ombrello dell’indagine accademica di Cleo, virata, nel frattempo, da un’inchiesta sul terzo settore a un progetto di ricerca sulle comunità indipendenti di ricerca spirituale… Intese come organizzazioni socialiste di base.
Una bambina che legge la Pimpa trascina Cleo nella spiritualità decisamente politica dei Folletti che vivono nei boschi di Pistoia: «E così i tuoi genitori sono diventati… complottisti, eh?»
«Guarda, Cleo, uno strazio, mi dice senza togliere gli occhi e il ditino dalla pagina in cui Pimpa voga su un kayak assieme al suo amico leprotto. Sono convinti che Donald Trump sia buono e sia tutto preso in una lotta contro un fantasioso Stato profondo che protegge un circolo di persone che fa cose orribili alle bambine come me… Ti dico solo che ho dovuto chiedere a mia nonna di farmi il vaccino per il morbillo di nascosto.»
Cleo, che ormai vive i primi appuntamenti tra ashram, ex ashram, boschi ed eremi, e nel frattempo ha ripreso pure a meditare regolarmente, ha uno slancio di lucidità, per così dire: «Ascesi sì, ma con un tetto sul capo, e un paese vicino semmai succedesse qualcosa…» Si isola, però, dal mondo. E pure, soprattutto, da quel letto dove ha nel frattempo trovato una brutta sorpresa tornando a casa dopo una delle sue tappe.
Cleopatra si aggrappa alle uniche due cose che le paiono logiche in quei giorni: la meditazione e gli psichedelici, gli stessi che si era lasciata nel taschino tempo addietro. Viene riacciuffata per un pelo da una deriva. Riprende a leggere i libri del periodo precedente e imbocca la strada del lasciarsi tutto alle spalle, tranne le nuove conoscenze: dottori delle pseudoscienze e giovani amiche in una specie di comune chiamata il Paradisino. Non dura. La situazione innesca ulteriori sviluppi, fino a portarla a una sorta di terza via: «Quella necessità di abbandonare, sempre, qualunque percorso e ostinarsi a camminare sul punto in cui non è strada né bosco.» (pag. 208).
Stavolta, però, è lei ad avere le redini in mano. Capisce: «Il vero yoga, che nulla ha a che fare con la ginnastica e nemmeno con la meditazione, si apprende solo di maestra in maestra». Almeno così si sente dire Cleo da Kumari. Una star venuta dall’India, che la rende a sua volta imprenditrice della predicazione. È in un nuovo luogo. La pandemia incombe fuori, e se il virus ruba il tempo agli altri, a lei ne concede di più per dar vita a un nuovo sodalizio privato, quello di «una tizia che si era rifugiata in un centro yoga-b&b senza clienti in Lunigiana, che accompagnava la sua ragazza in visita a una città utopica senza più utopisti nel Tamil Nadu e che, se lo faceva, era perché si era innamorata e non aveva chissà che altre scelte, più che per il percorso (pag. 219).»
Ossitocina vs senso di colpa. «In quei giorni per il resto gioiosi ebbi chiara la sensazione di come la mia felicità si reggesse su una moltitudine di scelte, torti e sacrifici che, se non messi a frutto verso un bene più certo e più grande, verso l’obiettivo davvero trascendente che mi ero data ormai molti anni prima, sarebbero stati solo male non appena quella felicità fosse passata (pag. 225).»
Si poteva «insegnare la trascendenza»? «No, si poteva solo fornire un ambiente sereno e un pugno di tecniche per cominciare.» Con le «molecole giuste», certo.
Ad un tratto Cleo giunge a una constatazione: «Capii di aver avuto un’investitura. Anzi di essermela presa». Si potrebbe quindi parlare di una parabola di successo, in cui Cleo, diventata ormai Shakti Devi, è padrona almeno di se stessa. Una self-made woman che ce l’ha fatta lanciando i suoi AUM e non assecondando le regole di un concorso confezionato a suo tempo sulla sua candidatura a ricercatrice universitaria.
Ma i dubbi persistono e riemergono: come i volti familiari. «Si riduce dunque a tutto questo? Ora et labora, quasi millecinquecento anni e nulla di veramente nuovo? Non era solo Ora et labora, avevamo anche lo shaivismo tantrico, la psichedelia.» Ma a tanti anni dal periodo dei rave Cleo è di nuovo in mezzo a un effetto valanga. Prova a restare, e forse a tornare, la se stessa di un tempo: «capa» dall’innato senso di autorità. Troppo debole o troppo forte?
Cleopatra Mancini riscopre l’attitudine al comando e all’organizzazione, caratteristiche giovanili abortite «per mancanza di contesti in cui esprimerle». Ora ha un hashram, soldi e fama. Poi, «un giorno misi la mano sull’interruttore della luce e ancor prima di premerlo mi accorsi che erano passati dieci anni»: da quando un senso di colpa latente le fece passare al setaccio un video porno, innescando domande sul male fatto alla sua ex dolce metà, e quei cambiamenti.
C’è persino un gustoso accenno di cronaca giudiziaria, sul crepuscolo della sua storia da santona. Tre righe, e tante ne bastano per portare il lettore a finire il romanzo sorridendo di gusto. Amaro per certi versi, come d’altronde sa essere la vita di tanto in tanto.
D’altronde: «Quando gli eventi si mettono in moto, possono accadere più cose nella stanza inutilizzata di una biblioteca che per le strade di una metropoli.» Ma solo Santoni, inteso come Vanni, poteva riuscire a mettere Trump e i Cavalieri dello Zodiaco nello stesso contesto letterario, senza annoiarci con la teoria del grande reset.
Narrativa | La verità su tutto | Vanni Santoni | Mondadori | 300 pagine
L’immagine è un particolare della copertina del libro.