«In principio era il Verbo», c’è scritto nel Vecchio Testamento. Nel Nuovo Testamento invece si legge che «Il Verbo si fece carne». In un Nuovissimo Testamento dei nostri tempi si potrebbe dire che il Verbo si è fatto macchina. Le tecnologie digitali si possono infatti descrivere come macchine abitate (e animate) dal linguaggio. Macchine che conservano, trasmettono e producono linguaggio. Il soffio divino oggi spira tra i circuiti di silicio.
È questa una delle possibili porte di ingresso per spiegare di cosa parla La tecnologia è religione, il breve ma densissimo saggio di Chiara Valerio pubblicato nella collana Vele di Einaudi. Dico che è soltanto una delle possibili porte perché si tratta di un libro labirintico, difficile da riassumere in un discorso lineare. È una riflessione intorno ad alcuni argomenti chiave (la religione e la tecnologia, come da titolo, ma anche il linguaggio e il corpo, la scienza e la magia) che, come ogni riflessione autentica, procede anche per salti, digressioni, ispirazioni improvvise, variazioni sui temi; mescolando materiali misti: speculazione teorica, citazioni colte o pop, aneddoti autobiografici. Senza l’ansia di arrivare ad un punto definitivo o a dimostrare una qualche tesi. C’è invece una volontà di comprendere che non è mai «impazienza di definire il mondo» (tendenza denunciata come troppo comune oggi), ma piuttosto un «attendere che i significati si dispieghino, nella relazione, nella funzione, per analogia». Un atteggiamento, insieme filosofico e letterario, che è in fondo la quintessenza del genere saggistico. Squisitamente saggistica è anche la maniera con cui
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